Progetto secondo classificato
Categoria: IE
Ubicazione: Viterbo
In Consulenza con Oliviero Rainaldi, Leonardo Gatti - Ingegnere per la struttura, Paolo Paganucci – Ingegnere per illuminotecnica
Con la collaborazione di Anna Scriminaci, Architetto
La Macchina di Santa Rosa è fondamentalmente una “torre” alta all’incirca 30m che la sera del 3 settembre viene portata in spalla da 100 uomini, detti i facchini di Santa Rosa, attraverso il centro storico di Viterbo. Questa macchina viene periodicamente rinnovata e dato il lustro, il prestigio e l’onore che riveste l’averla disegnata la sua ideazione viene affidata ad un concorso. Per meglio comprenderne il senso e per spiegare il concept della nostra ideazione qui di seguito viene fatto un sunto storiografico:
Rosa nasce a Viterbo nell’anno 1233. La casa dove vive è situata vicino al Monastero delle Clarisse, dove Rosa cerca di entrare, ma provenendo da una famiglia povera, questo le viene negato; decide allora di operare tra le vie di Viterbo come terziaria. Rosa nasce con una rarissima e grave malformazione fisica: la giovane muore all’età di 18 anni.
Viene sepolta nel cimitero della sua parrocchia di Santa Maria in Poggio detta oggi Crocetta.
Nel 1252, visto il notevole afflusso di gente sulla Sua povera tomba ed il clamore sempre più crescente per i prodigi ed i miracoli ottenuti dai fedeli, le Autorità Cittadine ed il Clero chiedono al Papa Innocenzo IV di promuovere il processo di canonizzazione di Rosa. Il Pontefice acconsente ed ordina la riesumazione del corpo disponendone la preventiva e canonica ispezione, secondo gli usi del tempo: il Corpo della Santa appare miracolosamente incorrotto e perfino le rose con le quali era stata inghirlandata alla sua morte, fresche e profumate. Viene allora deciso di darle più onorata sepoltura all’interno della chiesa dove vi rimane per sei anni.
Nel 1254 il Papa Alessandro IV decide di trasferire la Sede Papale a Viterbo. Dopo qualche tempo dalla sua venuta sogna Rosa per ben tre volte. In queste apparizioni la giovane Santa dice al Papa di far trasferire il proprio Corpo nel vicino Monastero delle Clarisse. Il 4 settembre del 1258 il Papa, accompagnato dai cardinali in una solenne processione, trasferisce il corpo incorrotto di Rosa nella vicina Chiesa delle Clarisse, affidandone a loro la custodia ed il culto.
Le origini della Macchina risalgono agli anni successivi al 1258, quando, per ricordare la traslazione del corpo si volle ripetere quella processione trasportando un'immagine o una statua della Santa illuminata su un baldacchino, che assunse nei secoli dimensioni sempre più colossali.
La celebrazione del 3 Settembre è la commemorazione di questo evento: del percorso del corpo di una ragazza che incorrotto dalla morte celebra la Santità dell’anima che ha ospitato, di una vita che attraverso la sua fede persegue la sua meta.
I concetti che hanno formato questa macchina sono appunto quelli del percorso visto come quello fisico che viene trasportato nel luogo del suo riposo eterno e di quello dello spirito verso la Santità.
Il corpo di Santa Rosa diviene una fiamma viva e lucente così come una ragazza attraverso la sua vita rinasce nel suo spirito.
Questa fiamma viene protetta alla base da una serie di archi che vogliono simboleggiare la città di Viterbo (ovvero i fedeli da sempre devoti alla padrona della città), e da questi sembra quasi voler prendere vita.
La macchina si antropomorfizza per divenire quindi un corpo di luce avvolto da un mantello, che simboleggia la fede che ha segnato tutti i passi della sua la vita, simbolo della protezione che dalla testa e dalle spalle della Santa avvolge il suo corpo (la fragilità del fisico che fu della ragazza) e accoglie anche gli archi, ovvero i fedeli.
Un modo nuovo di concepire la macchina di Santa Rosa, non come un “baldacchino” (che negli anni è divenuto sempre più grande e sorprendente fino ad avere le dimensioni e l’importanza di una torre )che porta una statua, ma corpo essa stessa: è Rosa che percorre ancora le strade della sua città.
Il suo corpo, la sua pelle, è una membrana leggera e semiopaca, come una specie di tessuto, adattabile a qualsiasi forma mediante la sottostruttura tridimensionale sul quale viene teso. L’effetto è quello di un corpo luminoso (una fiamma appunto) sul quale si proiettano le ombre della struttura interna in un gioco di luci e di ombre. Gli archi alla base sono invece completamente opachi, di colore grigio chiaro (a ricordare il peperino che è la tipica pietra Viterbese), qui la luce verrà data ponendo i corpi illuminanti immediatamente dietro gli archi in modo da vedere l’arco luminoso e la sua parte materiale in ombra; altre luci sono posizionate alla base dei cavi così da “accenderli” dando allo stesso tempo una luce diffusa alla parte bassa della macchina.
Anche la struttura è completamente diversa al fine di minimizzare al massimo il suo ingombro ed il suo peso (la macchina così concepita avrà un peso totale intorno a solo 1 Tonnellata contro le 5 del limite massimo imposto)ed è composta essenzialmente da un traliccio reticolare di 60 cm di diametro che nella parte inferiore si dirama per favorire una distribuzione omogenea dei carichi su tutta la base e che viene ad essere stabilizzato da 4 gruppi di cavi lungo gli assi diagonali delle basi ; gli archi nascono dai cavi e dagli appoggi della struttura, questi si protraggono verso il cuore della fiamma, mentre la parte centrale dietro gli archi è completamente opaca e nasconde il gruppo elettrogeno (dimensioni 100*110*90 cm) e l’ingombro necessario per la persona che monitorizza l’illuminazione.